Il virus non fa più paura. Lo abbiamo sentito dire molte volte nelle ultime settimane. La speranza è che non sia una frase per fare clamore, ma qualcosa di fondato. A far ben sperare è il fatto che a dirlo sia stato proprio un esperto. Si tratta del professor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale presso l’Ospedale San Raffaele di Milano.
Zangrillo è stato ospite in collegamento alla trasmissione di La7 “Non è l’Arena”. Ha spiegato che in virtù di quanto emerso da studi di laboratorio il virus non fa più paura. E l’aspetto più positivo è che non farà più paura nemmeno in futuro.
Infatti il virus oggi è molto diverso da quello iniziale, conosciuto dai primi di Marzo. Adesso è molto più debole e meno aggressivo. Inoltre alcuni geni presenti inizialmente oggi sembrano scomparsi.
Zangrillo: “Il virus non fa più paura”. Ecco cosa è stato scoperto in laboratorio.
Il professore era stato attaccato da più fronti nelle scorse settimane. Zangrillo infatti aveva già affermato che il virus era clinicamente scomparso in tempi non sospetti. Adesso però sembra ottenere consensi anche da esperti e colleghi. Ad esempio il dottor Matteo Bassetti, infettivologo e direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, sposa la sua stessa tesi.
Zangrillo ha spiegato a Massimo Giletti, conduttore del programma, che se in una prima fase i decessi erano sottostimati adesso accade il contrario. Infatti ci sono molti casi di persone che arrivano con condizioni critiche in Ospedale, non causate dal covid-19. In caso di decesso vengono comunicate alla protezione civile come caso di coronavirus, solo perché risultano positive. Anche se in realtà la causa della dipartita è tutt’altra.
Zangrillo ha voluto precisare che non deve essere sottovalutata la situazione. Non significa minimizzare o non seguire le procedure anti-covid, come mascherine e distanziamento. Il virus esiste ancora, ma a livello subclinico. E’ meno pericoloso rispetto all’inizio per una serie di motivazioni concatenanti. Ha meno aggressività, da una parte e i dottori hanno imparato come gestirlo e curarlo dall’altra.
“Quindi non è giusto dire loro ‘attenzione, arriverà la seconda ondata, si salvi chi può’’. Primo perché bisogna vedere se arriva, secondo perché li sappiamo curare i malati, terzo perché c’è una collaborazione in atto tra gli istituti ospedalieri, il territorio e le istituzioni regionali che sono in grado di fronteggiare il problema, quarto perché sappiamo molto di più su questo virus”.